03 Feb Dal bruco alla farfalla
3 FEB 2018
“Non sembra che vi sia altra scienza se non la psicologia per la cui comprensione occorre richiamarsi così direttamente alla vita” afferma Aristotele, che – ricordiamolo – è autore di un libro sulla “Psiche”.
Perché questa citazione?
Perché il pensiero del filosofo greco in questo campo è stato per molti versi così precursore che solo ora la scienza sta arrivando a qualcosa di simile.
La nostra disciplina, lo sappiamo, è stata sempre vittima del pensiero dicotomico: la psiche svincolata dal corpo o talmente nel corpo da farla coincidere con il cervello.
Da un lato le scienze biomediche – e in parte anche le neuroscienze – hanno tradizionalmente visto i processi psichici come una delle funzioni del corpo umano, e precisamente del cervello, senza alcun ruolo di rilievo attivo per il cervello ed il corpo stesso. Questo è il principio della causalità “dal basso”, dal DNA, dai processi biochimici.
L’attività psichica sarebbe quindi solo una conseguenza di attività biologiche che vanno capite e studiate come tali.
Dall’altro le scienze umane, che vedono nella cultura e nella società le forme che dettano i percorsi dei processi psichici o biologici. Una causalità “dall’alto” che spesso si sposa con quella biologica, immaginando un cervello che immagazzina il contesto in modo automatico, sostanzialmente con una azione diretta dell’ambiente sulle cellule ed i circuiti neurali.
La Psicologia ha subito questo “effetto panino”, trovandosi in mezzo tra cellule e ambiente, ma dal canto suo troppo spesso ha immaginato un “teatro della mente” come una dimensione sostanzialmente slegata da ciò che accadeva sopra e sotto, per rimanere nella metafora.
Un riduzionismo “psi” che si contrappone a quello biologico e ambientale ma non li supera. A volte i riduzionismi servono ma non possiamo confondere la parte con il tutto.
Si può guardare alla psiche in modo isolato? Senza considerare che le sue proprietà e le sue logiche sono sempre collocate in un contesto, fatto di processi genetici, relazionali, sociali e simbolici? La risposta oggi appare sempre più scontata.
La ricerca ci sta offrendo un panorama esaltante, dove la dimensione psichica emerge e si sviluppa dall’incontro del nostro genoma con ogni genere di contesto che ci circonda: il corpo di nostra madre, le figure che ci accudiscono, la dinamica e il calore delle relazioni, le forme e le forze dell’ambiente, i segni ed i simboli della cultura, i ritmi ed i valori degli scambi….
E, cosa ipotizzata da grandi pensatori ma non dimostrata in passato, come questa incredibile rete di significati, valori e identità che chiamiamo “psiche” – dove l’estrema soggettività si incontra e si confonde con l’universale – sia in grado di collegare, modulare, influenzare tutto questo e dargli senso.
Come la Fisica ha dimostrato, la trama più sottile della “realtà” è fatta di elementi che sono al contempo particelle ed onde, manifestano proprietà diverse a seconda di come le si guarda. Allo stesso modo a me piace pensare che la vita si manifesta sotto forma di oggetto, particella, nella biologia e sotto forma di soggettività, onda, nella psicologia.
E come la vita non è in un luogo specifico del corpo vivente, allo stesso modo la psiche è ovunque, anche se esistono componenti che sono ritenute essenziali per l’una e per l’altra.
E’ interessante ricordare come nasce il concetto moderno di “Psiche”. Termine che in greco antico vuol dire “farfalla” e per generalizzazione “respiro”. In particolare il respiro vitale, che esalando dal corpo, lo trasforma da corpo vivo e soggettivo a corpo inerte, cadavere.
Il corpo senza psiche è dunque materia senza vita…. Si delinea qui un intreccio meraviglioso, dove particelle ed onde sono due facce di una stessa medaglia.
In questi anni – ad esempio – un premio Nobel come Eric Kandel ha mostrato come i pensieri modificando l’espressione genica cambiano i circuiti neurali (confermando l’intuizione geniale di un grande psicologo come Donald Hebb), Damasio ha evidenziato il “valore biologico” della psiche, Joseph Ledoux il ruolo della psiche per le emozioni, Daniel Siegel il ruolo relazionale e trans personale della psiche.
Quanti altri nomi e citazioni potremmo aggiungere? Tanti e tante e non è possibile farlo qui.
Quello che invece si può fare è sottolineare che, con queste premesse, non c’è da stupirsi che ogni giorno abbiamo nuovi dati sul ruolo degli aspetti psicologici per la qualità della vita, della coesione e delle relazioni sociali, organizzative e personali.
La Psicologia ha avuto il coraggio già oltre un secolo fa di adottare per quanto possibile i metodi delle scienze “dure” per dare “evidenze” a vecchie e nuove ipotesi. Da alcuni anni inoltre vi sono studi interdisciplinari che mettono insieme le osservazioni ed i dati di diverse discipline e mostrano legami, relazioni ed interdipendenze tra aspetti un tempo distanti e slegati.
Da tutto questo emerge un ruolo ed una responsabilità crescente per la scienza e la professione psicologica. Un campo di studio e di applicazioni pratiche che cresce e richiede continui ed importanti adeguamenti ed aggiustamenti.
Una professione poliedrica, sinergia naturale tra aspetti materiali ed immateriali, tra scienze biochimiche ed umane, tra soggettività ed universalità, tra benessere, qualità della vita, equilibri adattativi e salute, tra individuo e società, tra coesione personale e sociale.
La recente Legge Lorenzin del dicembre 2017 sottolinea questo ruolo sociale inserendola tra le professioni che svolgono funzioni prioritarie (anche se non esclusive) per la “tutela della salute”. E certamente se pensiamo al ruolo degli aspetti psicologici per la salute psicofisica – e parliamo di prevenzione, promozione, cura, riabilitazione e così via – si tratta di un riconoscimento coerente e significativo del percorso fatto ed un investimento importante per il futuro.
Questa legge imprime una accelerazione ad una riflessione ed una svolta che è nelle cose, nella peculiarità e nel ruolo che scienza e professione psicologica sono chiamate a svolgere. Personalmente quando guardo alla complessità nella quale siamo tutti immersi, penso che la Psicologia ha delle chiavi potenti ed insostituibili per decodificare ed aiutare i singoli e le comunità.
La professione psicologica si pone in modo trasversale e peculiare, superando confini e ruoli tradizionali, proprio per la natura intrinsecamente relazionale della dimensione psicologica. Dove ogni parte che si illumina rimanda a sfondi, reti, contesti, dove il significato emerge da trame simboliche e concrete, dove le sinergie non oscurano ma svelano. Dove l’unità di analisi ed intervento può andare dal singolo alla comunità con forza ed efficacia comparabile.
Certamente la società ha le sue regole e con queste ci dobbiamo efficacemente confrontare. Dobbiamo essere in grado di dimostrare consapevolezza del nostro ruolo – che è dinamico ed in evoluzione e capacità adeguate.
Voglio fermarmi qui, perché queste righe non vogliono e non possono assolutamente avere valore esaustivo rispetto ai problemi in atto e alla professione.
Una professione cresciuta spesso impetuosamente e a volte disordinatamente, senza una chiara programmazione ed adeguamento ai bisogni negli aspetti formativi e applicativi. Che deve trovare un equilibrio nella sua poliedricità perché sia forza e non debolezza. Che deve trovare forti coerenze tra scienza ed applicazione, maggiore sicurezza e capacità di dialogo ed integrazione con altri ambiti e professioni, di riconoscimento e tutela dei propri spazi.
Non vi è dubbio che questi ultimi tempi hanno visto molti spunti ed attività in questa auspicata direzione, e vorrei tornare su questi temi – che a me sembrano molto importanti e significativi – con altri articoli e considerazioni più puntuali.
Forse anche la Psicologia sta compiendo il passaggio da bruco a farfalla, che è poi quella crescita che a livello di individuo noi Psicologi vediamo come maturazione, capacità di autorealizzazione, di dare senso alla vita.
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