“Counselor”: determinazione e saggezza devono andare insieme

Di David Lazzari

21 NOV 2019

Di questo tema mi sono occupato soprattutto sul versante tecnico-scientifico (cos’è il counseling e a cosa serve) che è stato troppo trascurato per parlare  – tanto e spesso a vanvera purtroppo – dell’aspetto politico-professionale (chi lo può fare, storia dei counselor).

Dal mio punto di vista questa battaglia non si vince solamente con le carte bollate ma con la cultura e la scienza: il counseling nasce come pratica nell’ambito applicativo delle scienze psicologiche. Riaffermare questo e riappropriarsi di questo patrimonio di saperi e pratiche è fondamentale. Per questo ho promosso il convegno nazionale di Perugia “Il counseling e le sue applicazioni” e poi il quaderno che ne contiene e sviluppa gli atti (di imminente uscita a cura del Centro Studi CNOP).

L’operazione di far nascere in Italia una figura di “counselor” diversa dallo Psicologo e con una formazione non universitaria e assolutamente non paragonabile (uno-due anni in centri privati) è sciagurata ma nasce purtroppo nella nostra Comunità professionale per ampliare il mercato della formazione.

Sarebbe stata operazione assai diversa – legittima e meritoria – riservare i corsi di counseling agli Psicologi o ai professionisti che utilizzano la consulenza nell’ambito esclusivo della loro professione (medici, infermieri, avvocati, ecc.).

L’invenzione di questa figura con queste caratteristiche ha intercettato un consistente e potente filone politico e commerciale che punta ad individuare, normare e accreditare nuove professioni: la legge 4/2013 è frutto di questa lobby ed ha creato un florido mercato, che sta sfornando figure a volte utili e necessarie, altre volte improbabili e inutili (se non per chi le norma).

L’attuale Consiglio Nazionale (CNOP) , insediato a giugno 2014, ha trovato una situazione in gran parte compromessa, con un Consiglio Superiore di Sanità (il supremo organo tecnico del Ministero) che aveva già legittimato i “counselor” dividendo salomonicamente il disagio psicologico in grave (psichiatra), medio (psicologo) e lieve (counselor) e l’ente che applica la legge 4, l’UNI, che aveva già aperto il tavolo per normare questa figura chiamandola “counselor relazionale”.

Da allora una storia che sembrava chiusa è stata riaperta con azioni legali e istituzionali del CNOP che hanno portato al superamento del parere del Consiglio Superiore di Sanità e alla chiusura definitiva del tavolo del “counselor relazionale”.

Persa questa partita l’UNI è ripartito – siamo a maggio 2018 – con una diversa figura chiamata solamente “counselor”: il CNOP interviene chiedendo al Ministero della Salute (delibera 45/2018) di far chiudere anche questo tavolo perché le competenze che si vogliono attribuire a questa figura rientrano tra quelle dello Psicologo.

Nonostante la posizione del Ministero l’UNI è andato avanti ed ha anche promosso una “inchiesta pubblica” sulla utilità del counselor, sulla quale il CNOP ha fatto campagna presso gli Iscritti all’Ordine per partecipare. Il risultato: 14.783 a favore e 26.495 contrari (quasi il doppio) non ha fermato l’UNI.

Nel giugno 2019 il CNOP approva un documento all’unanimità, dove ribadisce le proprie posizioni e le ragioni della contrarietà più volte espressa, documento inviato al Ministero Salute nel luglio 2019 e poi di nuovo ad ottobre.

Il CNOP riferendosi non solo ai “counselor” ma anche ai “Coach” scrive: “questo Consiglio segnala la necessità di un intervento ministeriale per impedire il riconoscimento di figure professionali che operino senza una adeguata formazione in materia nell’ambito del benessere psichico dell’individuo, con un profilo professionale che presenta ambiguità epistemologiche e ampi spazi di sovrapposizione con gli ambiti di intervento della professione di psicologo”.

Nel documento visibile sul sito CNOP si legge: “non esiste una professione autonoma di counselor perché il counseling è attività di consulenza delle professioni regolamentate e, per le materie psicologiche, è attività riservata agli Psicologi”. Vi è da dire che la legge 3/2018 – tanto voluta dal CNOP – non solo ci riconosce come professione sanitaria ma specifica che le non possono essere riconosciute ai sensi della legge 4/2013 (quella famosa delle nuove professioni) “attività tipiche o riservate per legge” alle professioni sanitarie.

Come si vede la posizione del CNOP è chiara (chi non la vede è perché non la vuol vedere) ma il CNOP non è onnipotente e le forze in gioco sono diverse. Ora il Ministero Salute ha chiesto nuovamente la chiusura del tavolo UNI dei “counselor” e vedremo cosa succederà.

In ogni caso la questione delle nuove figure professionali sfornate dall’UNI rimarrà un tema importante da affrontare, perché ci sono e ci saranno altre proposte (vedi “Coach”), figlie del mercato e di una strumentalizzata spinta a “liberalizzare” e bisognerà avere strumenti culturali e scientifici seri ed autorevoli. Non basta la protezione – pure fondamentale – della legge sulle professioni sanitarie: non dobbiamo apparire sulla difensiva o ancor più corporativi.

In questo caso, come si dice, la miglior difesa è l’attacco: e per “attacco” intendo una politica della Comunità professionale volta ad affermare la migliore qualità, appropriatezza e flessibilità della professione psicologica in questi ambiti – spesso nuovi e di confine – che cercano di intercettare bisogni reali, ai quali tuttavia lo Psicologo può dare risposte migliori e competenti.