La Psiche tra salute e malattia: perché questo libro?

23 SET 2019

Vorrei spendere qualche parola per presentare le motivazioni che mi hanno spinto a scrivere il libro (unitamente ai colleghi che hanno dato un loro contributo) che poi ha assunto il titolo di “La Psiche tra salute e malattia: evidenze ed epidemiologia”.
L’obiettivo è stato quello di documentare le evidenze sul peso “concreto” dei fattori psicologici tra istanze biologiche e dinamiche sociali.
Volevo offrire una sintesi su questo punto secondo me cruciale. Non certo per stabilire graduatorie di importanza o primati, quanto piuttosto per sostenere – non in base alle opinioni ma ai dati – il ruolo “causale” della dimensione psicologica e delle sue esigenze e risorse.
Assistiamo infatti ad una sorta di schizofrenia: a parole tutti sembrano dare gran conto degli aspetti psicologici ma quando dalle parole si passa ai fatti, siano essi le discussioni scientifiche o politiche-istituzionali che poi si traducono in norme, programmi, scelte (e così via) questo discorso sembra perdersi. Come se il ruolo dei fattori psicologici fosse più una questione filosofica che dimostrata e dimostrabile.
Spesso si legge di una diffusa “psicologizzazione” della nostra società, ma si tratta di un fenomeno in buona parte di superficie, perché in realtà c’è ancora una diffusa barriera di non conoscenza.
Ci sono voluti decenni (secoli potremmo dire ormai) per dimostrare il peso dei fattori biologici, sociali e ambientali per la vita umana, per lo sviluppo della persona e delle sue potenzialità, per la salute e la malattia. E certamente lo studio degli aspetti psicologici è arrivato in tempi più recenti e, oltretutto, si tratta di cogliere aspetti spesso più complessi e meno oggettivabili.
E forse questo contribuisce a spiegare perché viviamo in una società dove domina una “visione bio-sociale”, che vede l’essere umano come frutto di biologia e ambiente, dove la psiche è solo un contenitore di questi influssi, un epifenomeno, un artefatto, schiacciato ora sull’umo ora sull’altro.
Possiamo non essere d’accordo, ma il punto è un altro: questo è d’avvero ciò che ci consegna la letteratura scientifica? Quello che sappiamo oggi sulla genetica, sui sistemi biologici, sulle neuroscienze, sull’intreccio tra contesto, cellule, fisiologia e comportamenti, in generale su come funziona l’essere vivente, umano in particolare?
Oggi disponiamo – finalmente ! – di studi integrati e longitudinali.
Integrati, nel senso che considerano variabili e fenomeni studiati tradizionalmente da discipline diverse, come può essere il rapporto tra un atteggiamento mentale volontario, i circuiti cerebrali e l’attività cardiaca (per fare un esempio). Questo consente di far emergere ed indagare le relazioni e le reciproche dipendenze.

 

Longitudinali vuol dire che durano nel tempo. Abbiamo ricerche che hanno seguito il loro oggetto di indagine per venti, trenta o più anni, potendo isolare alcuni fattori da tutti gli altri. Se voglio sapere come influisce un certo atteggiamento dei genitori sui figli, uno studio su molto soggetti che ha seguito questi bambini sino all’età adulta, potendo paragonarli ad altri bambini che non hanno
avuto questa esperienza e potendo neutralizzare il peso di altri fattori è certamente molto importante.
La palestra che ho avuto nella Società Italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia mi ha portato a considerare la psiche non solo come realtà a sé stante, con le sue proprietà e modi di funzionare, quanto piuttosto a cercare di capire se ciò che la psicologia scopriva e illustrava aveva una corrispondenza con la realtà biologica e le sue leggi. Contraddizione o corrispondenza e possibili interdipendenze? Perché, come ricorda William James, “sono le scienze ad essere separate non la realtà”.
Troppe volte i dati biologici si incaricavano di offrire spiegazioni alternative a ciò che la psicologia cercava di spiegare col suo linguaggio. E allora diventa fondamentale capire se, oltre ad un chiaro e spesso ben documentato influsso “dal basso” ci fosse anche un influsso “dall’alto”, della psiche sui sistemi biologici e quanto fosse importante.
Ecco quindi la domanda che il libro pone alla letteratura scientifica: c’è uno spazio per la psiche tra biologia e contesto e quanto conta? Che ruolo emerge per una dimensione che non sia solo biologica o ambientale nel funzionamento umano. Da qui i dati su come la psiche può orientare – in positivo o in negativo – gli equilibri adattivi delle persone, lo sviluppo concreto delle loro potenzialità e risorse, e quanto tutto ciò incide a livello economico sia per il singolo che per la società.

Oggi i dati disponibili – se ben letti – offrono sintesi potenti, provvisorie come sempre è la scienza, ma senza dubbio chiare e forti.

E abbiamo un gran bisogno di questa sintesi, non solo gli addetti ai lavori per capire meglio, orientare, progettare, motivare il loro lavoro e le loro attività, ma anche i governi e le società per fare scelte giuste e documentate (non ideologiche).

In una società dove contano i dati, avere dati a sostegno della psiche e del lavoro psicologico è fondamentale.

Le risorse, dei singoli o delle società, sono limitate e reclamano un utilizzo saggio, che possa essere visto in termini di costi (di impegno, tempo, danaro, ecc) e benefici documentati e documentabili.

Questo libro contribuisce a reclamare una diversa considerazione per gli aspetti psicologici, non solo documentando che essi hanno una loro specificità dimostrata, ma che il loro ruolo e capacità di agire sulla biologia e sul contesto – sia in negativo che in positivo – va preso molto sul serio.

“Psiche” non è stata uccisa dalla scienza come molti pensavano. Anzi la scienza – a bene vedere – offre l’occasione per rivalutarla e farla uscire da una vocazione a volte troppo autoreferenziale. Un riduzionismo psicologico (lo studio della psiche decontestualizzato dalla dimensione biologica e sociale) se estremizzato non porta da nessuna parte e collude con gli altri riduzionismi che di fatto negano la psicologia. E per questo spero – sia detto per inciso – che il volume venga letto anche dagli studenti di psicologia perché può aiutarli a fare sintesi e a “mettere insieme” aspetti tradizionalmente separati o meno considerati.
Come si vede gli obiettivi del libro sono piuttosto ambiziosi, ma non si tratta di una ambizione personale. Non è chi scrive il protagonista del libro, non sono le mie opinioni quelle che trovate nelle pagine del volume. Chi scrive, unitamente ai colleghi che hanno contribuito, ha solo pazientemente composto un “puzzle” mettendo insieme tante tessere in un disegno unitario e coerente.

La forza e l’ambizione è nel disegno che emerge non in chi lo ha messo insieme. Certo un merito a questo lavoro voglio rivendicarlo: aver unito “tessere del puzzle” che in genere sono molto sparpagliate, poste in luoghi lontani e poco frequentati dalle stesse persone.

Spero che questa sintesi sia utile a molti e in molti modi diversi.

 

David Lazzari