Pandemia: riconoscere e affrontare il disagio psicosociale

Di David Lazzari

14 APR 2020

Nel recente volume “La Psiche tra salute e malattia. Evidenze ed epidemiologia” (EDRA 2019) ho analizzato i dati della letteratura internazionale relativi all’area del cosiddetto “distress o disagio psicologico”, nella quale rientrano in genere le situazioni di malessere che non presentano i criteri per essere etichettate clinicamente, le forme di ansia e depressione più diffuse, i disturbi legati allo stress, come di “disturbi dell’adattamento”, definiti dall’ICD (la classificazione dei disturbi psichici e comportamentali dell’OMS) come “condizioni di malessere soggettivo e di disturbo emozionale, che in genere interferiscono con il funzionamento e le prestazioni sociali, e che insorgono nel periodo di adattamento ad un significativo cambiamento di vita o ad un evento stressante.”.

Il dato comune a queste forme di disagio è quello di essere reattive ad una situazione che sta vivendo o affrontando il soggetto e quindi di essere legate agli equilibri e alle risorse adattive e di dipendere in larga parte dalla percezione e dal vissuto che la persona ha della situazione.

Per tali motivi tali situazioni necessitano, per essere comprese e valutate, di una “lettura psicologica”, in grado cioè di evidenziare il rapporto tra la soggettività individuale, la lettura del contesto ed il vissuto personale. Per gli stessi motivi gli interventi psicologici – di comunità, di gruppo o individuali, prevalentemente preventivi o di promozione delle risorse o maggiormente polarizzati sul versante “riparativo/curativo” – risultano la risposta più efficace (in termini di risultati) e più efficiente (in termini economici) (Lazzari, 2019)

Si tratta di un’ampia area di problematiche legate a vissuti psicologici, difficoltà personali e adattive, che sono state recepite dai nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (DPCM 12 gennaio 2017) tra i temi di salute ove il sistema pubblico deve garantire i necessari interventi psicologici (CNOP 2018).

 

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